mercoledì 17 giugno 2009

The Ghetto Project




Faccio poche foto, tutta colpa di Sofia Coppola.
In “Lost In Translation" fa dire a Scarlett Johansson che le ragazze con l'hobby della fotografia finiscono tutte per fare stupide foto ai piedi. Da quel giorno i piedi preferisco disegnarli. Oggi però attraversavo il Ghetto di Roma in bici, come quasi tutti i i giorni, e come quasi tutti i giorni mi domandavo Come è possibile che su quelle stesse pietre, meno di 70 anni fa, siano stati rastrellati e spediti ad Auschwiz oltre mille ebrei, tra i quali 200 bambini. Come è possibile che le pietre e le case e le insegne dei negozi siano ancora lì, perfino quella che recita "Chincaglie". Che razza di mondo è un mondo dove le cose e le insegne dei negozi sopravvivono alle persone.
E mentre pedalavo e alzavo il volume dell'ipod per farmi portare via da Sigur Ros, in Islanda, dove i nazisti non riuscirono a mettere piede, ho visto questa cosa qui sopra.
Muoiono anche le cose.
E sì, l'ho fotografata.
Ho pensato che Sofia Coppola mi avrebbe perdonato, se avessi dato un titolo all'opera.
"Quote Rosa". L'ho postata su Fb e Maria Chiara Sacchetti ha commentato:
"Muoiono, le cose,
e si sente nitidamente lo strappo:
vedi i denti che forti addentano la tua casa,
la tua città, i tuoi amici,
e tirando energicamente amputano.
Rimani tu senza la tua vita.
Racconta così un vecchio polacco".
La sera sono uscita per andare al cinema. Di nuovo in bici, di nuovo con l'Islanda indecifrabile nelle orecchie. A un certo punto mi è sembrata l'unica cosa sensata da fare: tornare al ghetto, raccogliere i pezzi, rimetterli insieme. Ho illuminato le pietre con la dinamo della bici. Erano ancora lì: una testa, due gambe, un braccio.
Di quelle 1022 persone rastrellate nel ghetto di Roma e deportate ad Auschwitz hanno fatto ritorno a casa in 17.
Ho raccolto i pezzi da terra e li ho infilati in tasca. Tornata a casa, ho fatto questa cosa qui sotto e ora sno pronta per consegnare i pezzi al prossimo o alla prossima che ha voglia di aggiustarli (ma si può fare anche partendo dagli elementi fotografati). Più siamo e più si capisce il senso. Che poi "The Ghetto Project" non vuole dimostrare niente, tranne che fino a quando avremo voglia di rimettere insieme i pezzi ce la caveremo. Forse come stirpe, di sicuro come persone.




è arrivata la prima foto. "All In One" di Emylin Ciocio. Avanti un altro!